La Festa Maggiore negli scritti del Settecento: la rievocazione storica di Vito Bernardi.
Vito Bernardi, studioso della storia della Puglia e di Terlizzi nonché componente del Comitato Feste Patronali Maria SS. di Sovereto, offre un interessante approfondimento sulla Festa Maggiore secondo lo sguardo fornito da Alberto Fortis, abate naturalista del Settecento.
Una ricerca accurata che aggiunge importanti tasselli alla conoscenza puntuale del passato terlizzese.
Di seguito lo scritto completo elaborato da Bernardi dal titolo “La città e la Festa della Patrona in un racconto di viaggio di un naturalista del Settecento: l’abate Alberto Fortis”.
«Nel Settecento il Meridione viene attraversato da numerosi viaggiatori
Stranieri, gentiluomini, letterati, naturalisti che nei loro diari riportano interessanti dati sul territorio, sulla politica, sull’economia, sulla religione, sugli usi e i costumi, insomma sulla storia e la geografia dei paesi visitati. Fanno parte delle èlites europee che, durante il secolo del Lumi, erudite, eclettiche, appassionate della civiltà classica, attraversano in lungo e in largo il Meridione e la nostra Puglia lasciandoci documenti odeporici di rilevante valore storico e scientifico. Anche la nostra Terlizzi fu visitata nel marzo del 1789 da un famoso naturalista, l’abate Alberto Fortis(Padova 1741-Bologna 1803).Il Fortis ritornava in Puglia per la seconda volta ma in compagnia del conte svizzero Carl Ulysses de Salis von Marschlins(1760-1818), un appassionato di scienze naturali e del paesaggio pugliese. La prima volta era venuto nel 1785 incaricato dalla Corte di Napoli di esaminare i giacimenti di salnistro del Pulo di Molfetta, scoperti nel 1783 dall’arciprete molfettese Giuseppe Maria Giovene(1753-1837).La sua permanenza nel Regno di Napoli fu determinante per lo sviluppo e la crescita degli studi naturalistici. Da giovane il Fortis entrò prima nel seminario vescovile di Padova poi nell’ordine degli eremitani di Sant’Agostino che abbandonò nel 1767 rimanendo semplice abate secolare. Fu un profondo ed eccellente studioso di geologia, paleontologia e zoologia marina oltre che forbito scrittore per l’eleganza, la raffinatezza e la vivacità dello stile. Dette alle stampe numerose opere di storia naturale apprezzate a livello europeo, molte delle quali riportano lettere itinerarie nelle quali descrive i territori e le popolazioni visitati. Si dilettava anche di poesia. Famosa l’opera “Versi d’amore e di amicizia” del 1783 indirizzata alla sua amata Elisabetta Camirer Turra(Venezia 1751-Orgiano 1796) scrittrice e direttrice del “Giornale Enciclopedico”, con la quale collaborava e di cui si era innamorato.
Dopo aver attraversato alcune città di Terra di Bari, il Fortis giunge a Terlizzi
Viene ricevuto sicuramente con onore dal magnifico Gennaro de Paù (1739-1809) e dai suoi fratelli Agnello e Carlo. Don Gennaro è il rappresentante del ramo principale della nobile casata de Paù, nipote del vescovo di Tropea Monsignor Felice (1703-1782).Morì di crepacuore per la morte del figlio Felice (1773-1809), capitano della guardia civica ucciso dai briganti nei pressi di Minervino. Una stele funebre ricorda nella chiesa di S. Maria La Nova questo dramma familiare. Il Nostro alloggia nella palaziata di strada della Trinità, fatta costruire negli ultimi decenni del’600 e i primi del’700 da Gennaro de Paù(1668-1750) nonno del padrone di casa. Rimane per circa un mese al termine del quale, prima di procedere per Taranto e Matera, indirizza dalla dimora “d’una colta, nobile, cordiale famiglia” una appassionata, lunga e particolareggiata lettera, datata 16 aprile 1789, alla sua amata Elisabetta, che rappresenta un dettagliato resoconto delle sue impressioni, considerazioni, giudizi su un paese del sud che verso la fine del secolo diciottesimo presentava uno scenario variegato, complesso e in continua evoluzione e trasformazione sia a livello istituzionale che civile ed ecclesiastico. Pubblicata ne “Il Nuovo Giornale Enciclopedico” di Vicenza nel giugno del 1789,il Fortis inizia la sua missiva dicendo alla sua amata di passarsela bene nelle terre interne del Regno del Sud: “Dalle descrizioni che i viaggiatori hanno pubblicato dell’interno di questo regno, e da qualche tratto delle mie lettere, voi vi siete forse creduta in diritto di concludere, ch’io mi vi debba trovare malissimo. Eppure è tutt’altro. Io mi trovo benissimo”. Con i nobili de Paù si sente a suo agio , immaginando “d’essere conte di Thiene , e col conte Fracanzani!” (nobili famiglie venete). Decanta l’amenità del luogo e la purezza dell’aria: “L’aria mi conviene quanto quella del nostro bell’eremo arzignanense” (Arzignano: borgo del Vicentino).
Pone in rilievo il volto nuovo della città di Terlizzi
Cittadina che verso la fine del Settecento, se pur lungo il perimetro del suo nucleo antico è ancora murata e presenta numerose torri, case a schiera, stradine, un’unica piazza fra la collegiata e il castello e molti larghi o chiazzodde, si popola di case palaziate attorno al borgo, di arterie di comunicazione spaziose e diritte lungo le quali si allineano prestigiosi palazzi e si mostra circondata da un territorio extra moenia ricco di terreni ben lavorati, e attraversata dalla via Appia a qualche miglio e vicina al mare: “Terlizzi è una picciola città, di circa 10 mila abitanti, quasi tutta rinnovata, ben fabbricata, e da un anno all’altro crescente, a’ dì nostri aperta, ma che fu chiusa ne’ tempi andati allorquando era più picciola, e circondata di spesse torri, tutte esistenti ancora. E’ situata a circa un miglio da riconoscibili residui della via Appia, cinque miglia a diritta linea lontana dal mare, e attorniata da egregiamente coltivati terreni” .Dopo aver presentato alcuni momenti importanti della storia della città come la sua origine antica, le alterne vicende della sua Chiesa, i privilegi concessi da alcuni sovrani, il servaggio feudale, il carattere e l’attaccamento al proprio paese dei terlizzesi, la presenza in loco di opere in musica degne di nota e del teatro” apparecchiato nella casa de’ Paù”, ci descrive l’affascinante storia della Madonna di Sovereto con la festa di maggio in suo onore.
Il viaggiatore veneto si immerge nella leggenda del ritrovamento della sacra icona nel bosco del Sovero
… nella storia di un culto semplice che dopo tanti secoli rimane il fulcro e l’essenza della religiosità terlizzese, nella tradizione che in determinate periodi dell’anno celebra la sacra immagine con suggestivi festeggiamenti, nelle secolari vicende che cambiarono il locus suber . Il Fortis avrà avuto dal padrone di casa don Gennaro e da suo fratello, il vicario don Agnello de Paù(1738-1817), precise informazioni sulla icona, sulla chiesa – santuario beneficiata sin dall’inizio da generose donazioni e tappa preferita dai pellegrini che arrivavano dalla Terra Santa o si recavano in Terra Santa, sulla venuta dei Cavalieri Ospedalieri di S. Giovanni e delle monache del monastero di S. Marco, sulla Fiera di San Marco concessa dai sovrani angioini, sull’abbandono delle campagne, delle chiese rurali, dei villaggi, e quindi di quello soveretano a causa delle continue guerre che agli inizi del XVI secolo le dinastie di Francia e Spagna si facevano per il possesso del Regno di Napoli e che costrinsero i cavalieri gerosolimitani e le monache a lasciare per sempre la Precettoria trasformata in Commenda, costretta per la instabilità politica ad affidare al clero e alla Università la sacra icona che venne collocata nella navata destra della Collegiata di Sant’Angelo, a condizione che fosse restituita il ventitrè di aprile festività di San Giorgio e restasse a Sovereto per otto giorni, fino al 2 di maggio, durante i quali si svolgeva la fiera di S. Marco. I signori de Paù, in particolare don Agnello, gli avranno anche riferito dello scemare nel popolo dell’antica devozione verso la Vergine soveretana ridottasi nel giorno della traslazione quasi a semplice scampagnata.
Delle alterne vicissitudini del locus Suber e della miracolosa immagine raccontategli dai de Paù, l’abate veneto così ne parla
“Il mese di maggio conduce ai Terlizzesi una festa annua, che dall’essere pratica di divozione, divenne villeggiatura del popolo. Nell’antica badia di Sovereto, tre miglia lontana da Terlizzi ( due miglia), passata in commenda, fu trovata una immagine di Maria Vergine gran tempo fa. La città ne fece il prezioso acquisto; ma a condizione di lasciarla riportare ogni anno al luogo dell’invenzione, e di rimanervela otto giorni. Dalla divozione di accompagnarla nel viaggio, ne venne quella di trattenersi a Sovereto per custodirla”. La chiesa santuario che custodiva l’icona, rinnovata nelle strutture dai vari commendatari che rimasero a Sovereto fino al 1805 e che dovettero andar via con l’avvento dei francesi(1806-1815), continuava ad essere la meta preferita che attraeva ancora per quella immagine di Madonna trovata in una grotta col lume acceso. I commendatari la custodivano con diligenza e amore come anche assicuravano ai devoti e ai pellegrini, che in tempi difficili si recavano numerosi a pregare, assistenza e ospitalità .La loro opera non si fermò solo alla cura e al soccorso ma contribuì con la concessione ai devoti di piccoli appezzamenti di terreno a far nascere il villaggio soveretano costruito agli inizi con la tecnica a secco per l’abbondanza di pietrame di cui il territorio è ricco. Dal bisogno di trovare un riparo temporaneo non solo durante gli otto giorni della festa ma anche per tutto il mese di maggio, molti terlizzesi su quei appezzamenti di terra messi a disposizione cominciarono ad innalzare numerose rustiche costruzioni di forma conica simili, dice il Nostro, a quelle delle originarie popolazioni dell’Africa australe(ottentotti) o delle Americhe(indiani).Il villaggio cresceva ma non riusciva a contenere in occasione della festa di maggio tanta gente presente che cercava a volte di alloggiarsi come poteva. Il visitatore veneto in questi termini parla del novello borgo: “Il paese… abonda di pietre, per modo che chi vuol fabbricare a secco, ne ha sotto le mani a bizzeffe, e dovunque. A poco a poco i divoti fabbricarono oltre a cento capanne di parete(u pagghière),com’essi dicono, e noi diremmo di maciera, senza cemento, di figura conica e d’apparenza affatto ottentotta od americana. La cosa crebbe tant’oltre, che coll’occasione del divoto servigio, più di 500 persone villeggiano a Sovereto non per otto giorni soltanto, ma per tutto maggio, alloggiando assai strettamente…”. I villeggianti più numerosi erano fanciulle e giovanotti che nei giorni della festa invece di pregare e onorare la Patrona si dedicavano in completa libertà e allegria sulla lussureggiante pianura del Sovero, dolcemente elevata e a poca distanza dal mare, a balli, canti e giochi in tutte le ore del giorno. La natura del luogo, la salubrità dell’aria, la mite temperatura di maggio contribuivano ad eccitare gli istinti di fanciulle e giovanotti. Il risultato era che in questo periodo dell’anno molte fanciulle venivano ingravidate: “Il maggior numero, afferma l’abate, è di fanciulle e giovanotti; ed in vece di recitar rosari, vi si canta e vi si balla a tutt’ore. Presiede a quella villeggiatura una libertà assoluta,e un’allegria senza uguale. La bellezza del sito, ch’è una pianura inclinata tutta verdeggiante, sparsa di cespugli e a vista del mare, invita a cento varietà di piaceri campestri. Un anno per l’altro, non mancano di prepararvisi alcune decene di gravidanze…”.
Il ritorno dell’Icona a Terlizzi
Parlando della festa del 2 maggio, giorno del ritorno della icona a Terlizzi, rimane colpito dalla lunga e lenta processione, composta dal clero, dalle confraternite, da popolani, borghesi, nobili, che accompagnava la Vergine sul grande carro molto amato e desiderato dal popolo: “La festa della Beata Vergine di Sovereto, si celebra nel giorno che la riconduce a Terlizzi. L’immagine riviene scortata da tutto il clero, e da pur troppo numerose confraternite di varia divisa ,su d’un gran carro trionfale, tirato goffamente da finti cavalli di carta ai quali, per più decoro ,saranno sostituiti in avvenire cavalli veri giacchè, di togliere del tutto lo spettacolo al popolo, non v’è speranza”. Infine, si mostra pungente quando parla dei fuochi pirotecnici che hanno un costo elevato e che chiudono a notte fonda la festa :” Tre macchine di fuochi artificiali, che costano oltre 400 ducati, e vengono accese a notte avanzata contr ‘ogni buon riguardo di polizia, chiudono il sacro baccanale (festività romana in onore di Bacco, dio dei piaceri). Le persone sensate, che sono bastevolmente numerose a Terlizzi, vorrebbero impiegar meglio il denaro, ed applicarlo a solide opere pubbliche; ma su di questo, il buon popolo non intende ragione”. Il visitatore veneto conclude il suo racconto della festa con una dura e amara riflessione da tener conto anche oggi affinchè la festa della Madonna di Sovereto sia autenticamente cristiana e mariana e non solo spettacolo e baccanale».
Dr. Vito Bernardi-studioso della Puglia e di Terlizzi